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La mitezza è una stella del mattino

Eugenio Borgna (psichiatra) fragile come una farfalla ma potente da spalancare le porte alla saggezza

Ancona, 2 novembre 2024 – Nel suo libro Mitezza, lo psichiatra e saggista Eugenio Borgna, riflette sui possibili aspetti della mitezza che la sua vita in psichiatria gli ha fatto conoscere. La ritiene un’esperienza umana importante e così dimenticata. Un antidoto capace di farci uscire dall’egoismo e dall’individualismo, lontana dalla aggressività e dalla angoscia, dalla impazienza e dalla fretta, dall’orgoglio e dalla superbia, dalla indolenza e dalla indifferenza, dalla distrazione e dalla sicurezza di sé.

«Fragile come una farfalla ma potente da spalancare le porte alla saggezza»

Nelle prime pagine del suo scritto, Borgna riprende Il discorso della montagna, dal Vangelo di Matteo, dove sono Beati i miti che erediteranno la terra e cita alcune frasi del cardinale Carlo Maria Martini, negli anni in cui fu arcivescovo di Milano, tratte dal suo libro Beati voi! La promessa della felicità, nel quale descrive la mitezza come una condizione in cui non vi è costrizione o prepotenza ma dove è più efficace la passione persuasiva, il calore dell’amore. La mitezza, continua, si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale; è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione.

Per comprendere meglio la mitezza nella sua dimensione evangelica, non distante dal significato più propriamente umano, bisogna arrivare a costruire un nuovo volto della società, in cui la vendetta non è contemplata e apre la via alla misericordia della verità. Per arrivare a questo, prosegue Martini, occorrono molte prove, delusioni, amarezze, sconfitte, per capire che la violenza di ogni tipo, compresa quella morale e ideologica, è alla fine perdente. La mitezza dunque è un’esperienza interiore che dovrebbe portarci a seguire con il cuore le persone fragili e deboli, sole e malate, emarginate e anziane, le quali hanno più bisogno di solidarietà e umana vicinanza.

Anche Norberto Bobbio, filosofo, giurista e politologo, nel libro Elogio della mitezza, sceglie tale virtù distinguendola dalla mansuetudine da riferirsi più a un animale che a una persona. Per lui la mitezza va più in profondità, la definisce attiva e una virtù sociale rispetto alla mansuetudine che sta più alla superficie.

Eugenio Borgna – Mitezza

Anche il filosofo greco Aristotele, separava le virtù individuali come il coraggio e la temperanza, buone nei riguardi di sé stessi, dalla virtù sociale, come la giustizia, quando rivolta agli altri.

Dice che la persona mite è calma e tranquilla, vive e lascia vivere, non reagisce alla cattiveria, accetta consapevolmente, non per debolezza, la presenza del male quotidiano, e cerca senza fine di evitare le conseguenze dolorose. Se la mitezza è estranea alla nostra vita, prosegue, non è facile fra l’altro dare un senso alla fragilità, e riconoscere la serietà e la dignità, la fecondità e la stremata umanità.     

Oggi 2 novembre è il giorno della Commemorazione dei defunti, un modo per onorare quei cari che non ci sono più, in questo caso ci si reca al cimitero offrendo fiori e preghiere.

Ho voluto scrivere sulla mitezza, per ricordare oggi, a poche settimane dalla sua prematura scomparsa, Leonardo Calcina, il ragazzo di Montignano, vicino Ancona, che frequentava l’Istituto Panzini di Senigallia. Pesantemente bullizzato, una domenica decise di chiudere definitivamente con la vita. In un articolo della Stampa del 19 ottobre scorso, che ho avuto il dispiacere di leggere, la mamma, Viktorya Ramanenca, e chi meglio di lei può farlo, intervistata, nonostante la disperazione, trova le parole per ricordare il figlio, con la fatica del dolore che si porta addosso: «Era un ragazzo gentile e mite, molto generoso e molto altruista».

In questi giorni ha già fatto discutere il film della giovane regista emiliana Margherita Ferri che uscirà nelle sale il 7 novembre, dal titolo Il ragazzo dai pantaloni rosa. Anche questa una storia di bullismo. Questa volta a scegliere di perdere la vita a soli quindici anni è Andrea Spezzacatena, un giovane anche lui vittima dei suoi compagni di scuola. Liberamente tratto da Andrea oltre il pantalone rosa, libro denuncia della madre Teresa Manes.

Quella che viene raccontata è la storia della vita di Andrea, come ha voluto sottolineare la regista, un ragazzo studioso e «soprattutto attento a fare felici gli altri più che a sé stesso» che subisce sia l’indifferenza che la crudeltà dei suoi coetanei.

ll pretesto per aggredirlo sembrano essere dei pantaloni rossi che per un errore di lavaggio della madre, sono diventati rosa. Andrea diventa un bersaglio dei compagni che creano un sito per deriderlo. La solitudine che prova e la scelta di non condividere con i familiari questa sua condizione, forse per proteggerli, i continui attacchi espliciti e reiterati, lo condurranno a quella decisione irreversibile.

Una scena del film Il ragazzo dai pantaloni rosa

Il film si conclude con la frase finale di Teresa: «Di tutti gli errori che ho commesso con mio figlio, farlo uscire con dei pantaloni rosa non è tra quelli». 

Per superare il dolore e il disagio che provano i ragazzi vittime di bullismo e interrompere questa piaga sociale, occorre ripartire dal dialogo tra figli e genitori e studenti e professori e favorire il  canale di comunicazione tra questi soggetti, costruendo validi percorsi di sostegno psicologico e formazione genitoriale oltre che sviluppare il senso di empatia all’interno delle comunità.

Migliorare il patto di corresponsabilità educativa famiglia e scuola e soprattutto rimuovere tutte le forme di indifferenza.

La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi sostiene che la famiglia è l’educazione primaria ma la scuola è fondamentale perché deve essere in grado di fornire conoscenze e strategie per le sfide della vita.

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