14 Lug Gianluca Vialli
Un uomo, prima che un indimenticabile campione
Ancona, 14 luglio 2024 – Non sono molti i calciatori a poter vantare un soprannome ricevuto dal grande Gianni Brera.
Gigi Riva Rombo di tuono, Gianni Rivera L’abatino, Roberto Boninsegna Bonimba, Paolo Pulici Puliciclone, Roberto Bettega Penna Bianca.
E poi lui, che è stato l’ultimo ad avere questo onore, Gianluca Vialli Stradivialli.
«Segna pochi gol, ma sono tutti di grande bellezza, come i violini di Antonio Stradivari», scrisse Brera sul Guerin Sportivo, facendo riferimento alle comuni origini cremonesi di Vialli e del grande liutaio.
Il 9 luglio scorso, se un tumore al pancreas non se lo fosse portato via a gennaio del 2023, Gianluca Vialli avrebbe compiuto 60 anni, era nato a Cremona nel 1964.
Parlare qui del formidabile campione sarebbe però un esercizio sin troppo facile, tanto più di questi tempi che in Italia di campioni c’è una gran penuria. E d’altronde la rete è piena di filmati che ci mostrano i gol di Vialli: tutti di grande bellezza, appunto. Sono gol di testa, gol di potenza, gol d’astuzia, gol in acrobazia: semplicemente uno spettacolo per gli occhi. Potrebbe bastare questo a renderlo immortale.
Ma quanti sportivi ci hanno lasciato gesta irripetibili? Tanti, tantissimi, ne è davvero piena la storia. Pochi, invece, molto pochi, quelli di cui possiamo dire che sono stati soprattutto degli uomini.
L’uomo Gianluca Vialli, quindi. Cominciamo da qui.
Si può trovare facilmente su Raiplay un bellissimo film del 2022, La bella stagione regia di Marco Ponti (quello di Santa Maradona, il film di culto uscito nel 2001).
La bella stagione è il racconto di quella squadra anticonformista e spensierata che è stata la Sampdoria del presidente Paolo Mantovani e dell’allenatore Vujadin Boskov, dove Vialli militò dal 1984 al 1992.
Un’isola felice dove giocando a calcio ci si divertiva, perché non c’era l’assillo di dover vincere a tutti i costi.
Ma nel campionato 1990-91 quella squadra intraprende un’avventura epica che cambierà la storia del calcio italiano: si aggiudicherà un irripetibile scudetto, deciderà di diventare non solo la squadra più bella ma anche la più forte.
La bella stagione però non è solo la cronaca di quella cavalcata verso la vittoria, non è solo un film sul calcio, no, nel film di Marco Ponti si parla di uomini, degli uomini che formarono quel gruppo vincente e che non si sono mai persi di vista, hanno continuato a sostenersi nelle difficoltà, perché erano uniti da un qualche cosa che ormai, se si parla di calcio, sembra impossibile e indicibile: l’amicizia. Quegli uomini avevano negli occhi una luce speciale, la luce di chi sapeva che stava scrivendo una pagina di storia.
E da questo film risulta evidente il ruolo che l’uomo, ancor più del campione, Gianluca Vialli ebbe all’interno di quella squadra, prima, durante e dopo quell’incredibile impresa. «Un mentore», ha detto di lui il regista Marco Ponti, «quello che indica la strada».
Arriva inevitabile, nella parte finale, un momento in cui Vialli parla della sua malattia e non si preoccupa certo di mascherare tutta la sua fragilità o di nascondere le lacrime. Come fa un uomo, per l’appunto.
Viene la pelle d’oca ad ascoltarlo, una cosa che coi calciatori di oggi non ci succede quasi mai (tutt’al più può venirci l’eritema). Le stagioni però, tanto più quelle belle, lo si sa, a un certo punto finiscono. L’amicizia no, quella può rimanere per sempre.
Perché poi c’è stato anche un altro Vialli, che è quello con la maglia della Juve allenata da Marcello Lippi e della piena maturità calcistica. Quello che ha detto: «Giocare nella Juventus è un onore e un onere. Senti il peso della maglia, il dovere di riconsegnarla piegandola per bene e riponendola un po’ più in alto di dove l’avevi presa».
Non più il ragazzino riccioluto, esile e spensierato, ma l’adulto con la testa rasata e il fisico possente da centometrista. Il carismatico capitano che ha issato nel cielo di Roma la Champions League nel lontano maggio del 1996 (tuttora l’ultima della storia bianconera). Sempre su Raiplay si può trovare un bel documentario di Herbert Simone Paragnani e Paolo Geremei uscito nel 2023, Marcello Lippi. Adesso vinco io, che racconta anche di quegli anni, di quella Juve e di quella Champions League. A Vialli è riservato un cameo, ma di un valore incommensurabile.
C’è a un certo punto un pranzo con tutti i componenti la squadra di quella storica impresa, si è a Viareggio, la città di Marcello Lippi. Vialli, già fiaccato dalla malattia, non è presente, ma si collega in video da Londra, è in un ospedale sembrerebbe dalle immagini, il video dura un minuto esatto (ha fatto il giro della rete). Cosa si può dire in un minuto? Si può dire poco, certo, ma si può dire anche tanto. Da vederselo e rivederselo questo minuto, per capire chi è stato davvero l’uomo Gianluca Vialli.
«Non ti dimenticherò mai», dice a un evidentemente commosso Marcello Lippi, «e spero che tu non ti dimenticherai mai di me, del tuo centravanti».
Un attimo prima, però, la telecamera indugia sugli occhi di Antonio Conte, che ne aveva ereditato la fascia di capitano. E c’è, in quegli occhi, qualcosa che colpisce profondamente, qualcosa che si farà fatica a dimenticare: c’è sì la gioia di rivedere un compagno che si è molto amato ma, al contempo, anche la consapevolezza che potrebbe essere l’ultima volta. Ci si commuove, davvero. Ma Vialli, da par suo, sa sdrammatizzare subito: «Dai ragazzi, godetevela oggi. A prestissimo, vi voglio bene», quasi a non voler rovinare l’atmosfera di goliardia che inevitabilmente aveva aleggiato a tavola fino a poco prima.
Ma è in una puntata di Una semplice domanda, la serie tv di Alessandro Cattelan andata in onda su Netflix nel 2022, che Vialli, l’uomo, non il campione, ci lascia una sorta di testamento spirituale (se ne possono vedere ampi stralci in rete). Con Cattelan Vialli parla a lungo del male che lo affligge e lo fa come solo lui sa fare e quindi senza mai usare quegli orribili termini bellici a cui ultimamente si fa sempre ricorso quando si parla di malattia, di cancro: lotta, battaglia, guerra, guerriero e via dicendo (basta andarsi a leggere qualche necrologio).
Perché non è vero che ce la fa soltanto chi è più forte, quello con il tumore è per sua natura un confronto impari che purtroppo nulla, ma proprio nulla, ha a che vedere con il combattimento e con la forza. Vialli, in questa intervista, non ha timore di confessare la sua debolezza, la sua paura di non farcela, ma parla anche di quel poco che di buono si può trovare in una situazione così devastante. Ragiona principalmente dei suoi affetti: la moglie, le figlie, i genitori.
Dice poche cose, ma così vere da sembrare quasi fin troppo semplici: «io sono convinto che i nostri figli seguano il nostro esempio più che le nostre parole”, “adesso che so che non morirò di vecchiaia mi sono reso conto che c’è poco tempo per dare questo esempio», «cerco di insegnare alle mie figlie che non ti devi dare delle arie, che devi ascoltare di più e parlare di meno, che devi fare del bene, che devi cercare di migliorarti ogni giorno», e ancora «mi sono reso conto che non vale la pena perdere tempo a fare delle stronzate, fai le cose che ti piacciono, di cui sei appassionato e il resto no, non c’è tempo», ma poi dice anche: «la malattia ti può insegnare molto di come sei fatto, ti può spingere più in là anche rispetto al modo superficiale in cui hai vissuto la tua vita fino a un certo punto», o ancora «considero il cancro come un compagno di viaggio che spero prima o poi si stanchi e mi dica: ti ho temprato, ti ho permesso di fare un percorso e adesso che sei pronto ti lascio tranquillo, ti lascio in pace». E poi si pone un obbiettivo: «sopravvivere ai miei genitori e accompagnare le mie figlie all’altare nel giorno del matrimonio, gliel’ho promesso». Che poi, in fin dei conti, è l’obbiettivo di ogni uomo.
Non è riuscito a mantenere la promessa Gianluca Vialli, che il 9 luglio scorso avrebbe compiuto 60 anni.
Noi non volevamo ricordare qui il prodigioso campione, uno degli attaccanti più forti di tutti i tempi. No, noi volevamo ricordare un uomo, un uomo che è riuscito a passare leggero sulla terra.