25 Set La fatica improba del giornalismo d’inchiesta
Ferruccio de Bortoli chiude la 5^ edizione della rassegna marchigiana organizzata dallo Juter Club di Osimo. Gianni Rossetti, direttore artistico, fa il punto sul futuro incerto dell’informazione
Osimo. Presenze da record per la serata conclusiva del Festival sul giornalismo di inchiesta curato dal circolo Juter Club. Osimo è stata l’ultima tappa di un tour che ha coinvolto, durante la scorsa settimana, le città di Camerano, Montefano e Filottrano. Il suggestivo scenario del Chiostro di San Francesco, location scelta dal Cna locale, non è riuscito ad accogliere per intero la fiumana di gente accorsa per assistere all’evento. Unica nota stonata, l’assenza del primo cittadino Pugnaloni, assente all’iniziativa che pure vanta il patrocinio del Comune.
A calcare il palco per la chiusura della kermesse è stato Ferruccio de Bortoli, nome di spicco nel panorama economico nazionale. E di economia, infatti, si è parlato durante l’affollato incontro di ieri sera, attraverso un’ampia panoramica che ha chiamato in causa l’Unione Europea, l’immigrazione, il sistema bancario locale e internazionale.
De Bortoli è stato l’ultimo dei numerosi ospiti intervenuti al Festival organizzato dal circolo osimano. Gianluigi Nuzzi, Gianluigi Paragone e Filippo Nanni si sono succeduti nelle serate di lunedì, giovedì e venerdì scorsi, introdotti da alcuni tra i più noti volti del giornalismo marchigiano.
Mercoledì, è stata invece la volta di Emilo Casalini ed Emanuele Bellano, docenti d’eccezione al corso di formazione che si è svolto presso l’Hotel La Fonte. I giornalisti ospiti delle serate non hanno percepito il gettone di presenza ma solo il rimborso spese riguardante il pernottamento e i pasti.
Filo conduttore dell’intera programmazione è stato, come dice lo stesso nome del Festival, il giornalismo d’inchiesta, il “mestieraccio” per antonomasia nel mondo dell’informazione. Ma in una realtà, come quella attuale, dove impera indiscussa la velocità, è ancora possibile parlare di giornalismo di inchiesta? Lo abbiamo chiesto a Gianni Rossetti, ex presidente e consigliere dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, ora a capo della scuola di giornalismo di Urbino, nonché direttore artistico del Festival osimano.
“Il mestiere del giornalista non ha più una fisionomia precisa come vent’anni fa – ha commentato Rossetti –. Negli anni si sta trasformando in una professione totalmente nuova, dai tratti sempre più mobili. La notizia oggi circola sui social con una rapidità incontrollabile e il giornalista è costretto a rincorrerla da dietro lo schermo. Basti pensare – ha continuato – che in una diretta Facebook Renzi raggiunge in un secondo oltre 30 mila contatti e altrettanti ne contano i tweet”.
Di gran lunga superati i tempi in cui il giornalista aveva la funzione elitaria di ponte tra la notizia e il pubblico, oggi la sua autorità viene meno di fronte alle rivoluzionarie armi del web e una qualsiasi fotocamera prende il posto non solo di una telecamera professionale – “quelle di una volta – dice Rossetti – che costavano minimo 80 milioni di lire” – ma di un’intera macchina da lavoro redazionale.
Pur in uno scenario desolante, il giornalismo di inchiesta ha ancora il suo ruolo di perno, ma per essere riconosciuto è costretto a una fatica improba. “Report (trasmissione condotta su Rai3 da Milena Gabanelli), è uno degli ultimi modelli che ancora resiste – continua Rossetti –. Ma è impossibile quantificare il lavoro necessario a portare a casa quelle quattro o cinque inchieste all’anno. Ciò che rischiamo di perdere, abbandonandoci a questo vortice impazzito, è la credibilità del mestiere”.
Professionalità, basi solide, duttilità, conoscenza dei vari canali di comunicazione che consentano di contrastare il germe dell’approssimazione sono le uniche armi in grado di risollevare le sorti del giornalismo di inchiesta.
“È questo che cerca di fare il Festival osimano – ha concluso Rossetti – offrendo spunti di riflessione ma anche momenti di formazione e aprendo le porte al mondo dei giovani. Perché è proprio da loro che tutto il lavoro parte, da ragazzi che si autotassano, sottoscrivendo la tessera del circolo e sostenendo altre spese, pur di dar vita a momenti culturali di un certo spessore”.
Lunga vita a eventi di questo tipo, allora, ultimi barlumi di speranza da rivolgere a un futuro più che mai incerto, nell’attesa di finire come l’Alberto Sordi di “Io e Caterina”, succubi di un vortice artificiale che fagocita ogni libertà umana.